ERIZZO
Trasformare l’antica dimora gentilizia in Museo, donando parte degli arredi e le collezioni di interesse storico, artistico e archeologico in essa contenute.
E’ stata questa la volontà del Conte Mario Miniscalchi-Erizzo, ultimo erede della famiglia che, privo di discendenza diretta, decise di costituire una Fondazione Museo a scopo educativo e culturale.
Lombardi di origine, i Miniscalchi giunsero a Verona alla fine del Trecento, negli anni della dominazione viscontea della città.
Capostipite del ramo veronese fu Zanin Marescalcus il quale, in un documento del 1407 viene registrato come “un tempo maniscalco ora mercante”.
Nel corso di una generazione, la famiglia Miniscalchi abbandonò definitivamente anche il commercio per dedicarsi esclusivamente agli investimenti fondiari.
Grazie a questa attività riuscirono ben presto ad accrescere la propria forza economica e il loro peso sociale all’interno della città, favoriti anche da un’accorta politica matrimoniale.
Il nuovo status raggiunto richiedeva, però, di abitare in una dimora adeguata al livello sociale acquisito.
L’avvio della costruzione del palazzo di via San Mammaso – oggi sede del Museo – si può datare attorno all’ultimo quarto del XV secolo.
Il nuovo edificio inglobò una preesistente casa trecentesca i cui resti si possono oggi osservare nell’atrio del Museo.
La facciata, articolata in tre registri, fu concepita come una solenne quinta aperta da un portale strombato e da 18 finestre disposte simmetricamente, 6 per ciascun piano; tra queste spiccano, nel registro centrale, le due grandiose bifore, originariamente aperte a modo di loggia su un cavedio affrescato.
Diversi i marmi utilizzati: per le aperture il rivestimento fu realizzato in marmo rosso di Verona, mentre nel portale sono presenti tre qualità di marmi: il grigio delle cave di San Vitale dei Lessini, il nembro gialletto dell’alta Valpolicella e il rosso broccato di sant’Ambrogio di Valpolicella.
I davanzali scolpiti delle finestre al secondo piano sono invece in pietra di Avesa, nota anche come “pietra Galina”.
L’edificio si presenta come uno splendido esempio di architettura tardo-gotica con sfumature di carattere rinascimentale, che lo rendono un unicum nel contesto urbano veronese.
Il progetto viene attribuito ad Agnolo di Giovanni, già attivo nella Loggia del Consiglio e nella facciata della chiesa di San Tommaso Cantuariense; a lui si deve anche la realizzazione della maestosa cappella di famiglia dei Miniscalchi presente nella chiesa di Sant’Anastasia. Verso il 1590 la faccia ta del palazzo venne decorata a fresco, secondo una moda abbastanza diffusa nella Verona del Cinquecento.
Sopra il maestoso portone si può ancora leggere lo stemma dei Miniscalchi: un roveto ardente circondato da tre fasce d’edera su campo d’argento. Nei secoli, al nucleo principale del palazzo, i Miniscalchi accorparono altre costruzioni fino ad inglobare il grandioso edificio classicheggiante del tardo-Ottocento, che si affaccia su via Garibaldi.
La sala di raccordo tra le due costruzioni – oggi chiamata “del Procuratore” per la presenza dell’aulico ritratto di Nicolò Erizzo Procuratore di San Marco – fu ristrutturata nel 1951 dopo i danni bellici subiti dal palazzo, dall’architetto Ettore Fagiuoli, e riservata a sala da pranzo, destinazione d’uso rispettata ancora oggi dall’allestimento museale.
L’aspetto della dimora abitata e vissuta è testimoniato in questa sala dalle porcellane antiche appartenute al “servito di gala” dei Miniscalchi- Erizzo esposte nelle quattro vetrine a muro presenti nella sala.
Si tratta di 103 pezzi decorati – da tavola, da thè e da caffè – realizzati dalla prestigiosa manifattura parigina Darte Aîné (fine XVIII – inizi XIX sec).
Secondo la tradizione orale familiare, il servizio sarebbe stato un non meglio precisato dono di Napoleone III a Francesco Miniscalchi-Erizzo.
Il Museo è ambientato quindi all’interno dell’ultima abitazione del fondatore, la cui volontà escluse dalla destinazione museale solamente gli ambienti di servizio (camere, cucina, foresteria) e parte degli arredi.
Le eclettiche collezioni esposte sono costituite, per lo più, da reperti arrivati alla famiglia Miniscalchi nei corso dei secoli, per vie diverse.
Il nucleo più antico e pregevole è rappresentato dai moltissimi e vari reperti appartenenti al “museo domestico” di Ludovico Moscardo – il più importante erudito veronese del Seicento – confluiti in casa Miniscalchi a seguito del matrimonio di un discendente con Teresa Moscardo (1785).
Altri nuclei di raccolte rimandano, quanto a provenienza, a famiglie storicamente legatesi in parentela con i Miniscalchi, come gli Erizzo e i Pullè.
In una sala del Museo è esposto uno splendido esempio di camino in maiolica policroma (manifattura faentina, secoli XVII-XVIII) le cui formelle, in origine, rivestivano la grande stufa di tipologia trentina che si trovava in villa Pullè al Chievo, fino al 1918 proprietà personale di Elvira Ponti Miniscalchi-Erizzo.
Alienata la villa nel 1919, le formelle della stufa vennero smontate e qui ricomposte nella forma attuale.
Le collezioni esposte sono inoltre continuamente incrementate grazie a donazioni e acquisizioni.
Si citano come esempio i più recenti acquisti da parte della Fondazione: quattro dipinti tra i quali spicca una “Madonna con Bambino e San Giovannino” di Giacomo Francia, figlio del celebre Francesco Francia o il dipinto di Mussini “Torquato Tasso in atto di leggere i suoi versi alla duchessa Eleonora d’Este, di cui una copia, più piccola, è esposta a Palazzo Pitti a Firenze.