INTERVISTA AL FONDATORE ANTONIO DALLE NOGARE
Intervista di Luigi Leardini
Nelle interviste viene sempre rappresentato come un personaggio poliedrico dalle molte passioni, la più grande è forse l’arte, alla quale ha trovato una meravigliosa casa nella Fondazione Dalle Nogare.
Sì l’arte è una delle mie passioni, e direi che col tempo è diventata una specie di vocazione. La Fondazione mi permette di condividere con chi ha voglia e interesse questa passione, e di conoscere sempre nuove persone che lavorano o gravitano in questo ambito, e quindi di imparare sempre cose nuove.
Ho letto che inizialmente questo spazio non era aperto al pubblico, ma un luogo per ospitare gli artisti, che poteva ispirarli e dare sfogo alla loro immaginazione. Cosa l’ha spinta ad aprire la Fondazione al pubblico?
All’inizio pensavo di usare questo spazio per ospitare la collezione e fare qualche progetto con gli artisti, come le opere site-specific che sono state pensate per questo (Dan Graham, Robert Barry) e la residenza di Landon Metz, che abbiamo avuto ospite nel 2014. Poi però ho sentito il desiderio di condividere con una platea più ampia il mio amore per l’arte. Così ho pensato di affiancare all’attività della collezione quella della fondazione, che mi permette anche di collaborare più attivamente con le altre realtà culturali del territorio e del mondo dell’arte. Il contatto diretto con gli artisti in questo modo è ancora più articolato e produttivo, coinvolgendoli in progetti con una durata maggiore, arricchiti da un public program volto ad approfondire le loro pratiche, e a coinvolgere una platea sempre più ampia.
Qual è l’idea alla base della Fondazione?
Di base quella di avere un programma espositivo slegato dalla collezione, anche se nel solco di essa. Ovviamente c’è un’affinità tra gli artisti invitati a esporre in fondazione e lo spirito della collezione, profondamente legato alle pratiche concettuali.
Da sempre arte e architettura esprimono la società del tempo, quali sono le principali correnti/mode di questo nostro tempo? E quale invece di presente o passato preferisce?
Come dicevo la mia collezione ha radici nelle pratiche concettuali, nate tra gli anni ’60 e ’70, e questa matrice, per così dire, è quella che plasma anche l’attività della fondazione. Seguiamo con attenzione quello che succede intorno a noi e cerchiamo di comprendere e riflettere, ma non faremo mai cose che non “sentiamo” per seguire mode o per essere politicamente corretti.
Collabora con molti giovani artisti, facendo quasi da mecenate, quale pensa sia il ruolo dei giovani nell’arte di oggi?
Il ruolo dei giovani credo sia quello di portare la sensibilità legata al loro tempo. Quella che i tedeschi chiamano Weltanschauung, visione del mondo, legata a una determinata era, epoca. E noi dobbiamo cercare di comprendere e rispondere alle istanze che questa visione porta con sé.
Collezionista d’arte ed imprenditore edile, quanto l’edilizia ispira le scelte artistiche e quanto l’arte ispira i suoi progetti?
Sicuramente cerco di mettere bellezza anche nel mio lavoro, così come metto serietà e professionalità nella gestione della fondazione. A livello formale poi il vecchio less is more vale sia in architettura che nell’arte. Il mio gusto è piuttosto essenziale e asciutto, anche se non privo di poesia e di spiritualità.
Il suo artista e l’opera preferiti?
Come dicevo prima il mio amore è l’arte concettuale. Un’arte fatta di poco o niente – come abbiamo definito la mostra di David Lamelas, adesso in corso in Fondazione – ma ricca di contenuti, di pensiero, capace di emozionare attraverso il coinvolgimento di mente e spirito.
Idee per il futuro?
Abbiamo in programma due grandi mostre per il 2024, una personale di una grande artista internazionale in fondazione e una mostra della collezione con alcune delle ultime felici nuove acquisizioni. Si preannuncia un anno pieno di cose da programmare e fare, speriamo con sempre più persone a condividere la nostra passione e la nostra dedizione per l’arte.
INTERVIEW BY LUIGI LEARDINI
When interviewed, the image of you as an eclectic character with many passions always stands out, the greatest of these passions being perhaps art, to which you have found a wonderful house in the Dalle Nogare Foundation.
Yes, art is one of my passions, and I would say that over time it has become a kind of vocation. The Foundation allows me to share this passion with those who are interested in it and willing to meet new people who work or gravitate towards it, and thus to learn new things all the time.
I read that initially this space was not open to the public, but a place to host artists, which could inspire them and give vent to their imagination. What prompted you to open the Foundation to the public?
Initially I thought I would use this space to house the collection and to develop some projects with the artists, such as the site-specific works that were designed for it (Dan Graham, Robert Barry) and the residency of Landon Metz, who has been our guest in 2014. But then I felt the desire to share my love for art with a wider audience. That’s why I decided to combine the activity of the collection with that of the foundation, which also allows me to collaborate more actively with other cultural realities in the area and in the art world. To be directly In touch with artists in this way is even more articulate and productive, I can involve them in projects with a longer duration, enriched by a public programme aimed at deepening their practices and involving a wider audience.
What is the idea behind the Foundation?
The basic idea is to have an exhibition programme that is unrelated to the collection, although in the vein of it. Obviously there is an affinity between the artists invited to exhibit in the foundation and the spirit of the collection, which is deeply linked to conceptual practices.
Art and architecture have always expressed the society of the time, what are the main currents/trends of our time? And which of the present or past do you prefer?
As I was saying, my collection has roots in conceptual practices born between the ’60s and ’70s, and this matrix, so to speak, is the one that also shapes the foundation’s activity. We carefully follow what happens around us and try to understand and reflect, but we will never do things that we don’t “feel like” in order to follow methods or to be politically correct.
You collaborate with many young artists, almost acting as a patron, what do you think is the role of young people in art today?
I believe that the role of young people is to bring the sensitivity linked to their time. What the Germans call Weltanschauung, world vision, linked to a certain era, epoch. And we must try to understand and respond to the demands that this vision brings.
Art collector and building contractor, how does construction inspire your artistic choices and how does art inspire your projects?
I certainly try to put beauty into my work, just as I put seriousness and professionalism into the management of the foundation. On a formal level then, the old less is more applies both in architecture and in art. My taste is rather essential and dry, although not devoid of poetry and spirituality.
Your favourite artist and work?
As I said before, my love is conceptual art. An art made of little or nothing – as we defined David Lamelas’ exhibition, now running at the Foundation – but rich in content, in thought, capable of moving through the involvement of mind and spirit.
Ideas for the future?
We have two major exhibitions planned for 2024, a solo exhibition of a major international artist in the foundation and an exhibition of the collection with some of the latest new acquisitions. It promises to be a year full of things to plan and do, hopefully with more and more people sharing our passion and dedication for art.