L’ARTISTA ECLETTICO ED ASTRATTO
LE INTERVISTE DI LUIGI LEARDINI
Com’è nata la passione per l’Arte e perché la pittura?
Sono andato a scuola a Tirana, poi per mille motivi non mi hanno lasciato studiare Arte, ma io non ho mai smesso e sono sempre andato avanti.
Inizialmente facevo lo scultore, poi ovviamente mi sono dedicato anche alla pittura. Nell’85’ io avevo 15 anni.
Da noi ogni ne anno veniva organizzata una mostra con tutti gli artisti della provincia, a cui si presentavano sia scultori che pittori.
In quell’occasione mi sono presentato con una scultura, un bassorilievo molto figo (conservo ancora una bellissima foto) e un dipinto di una natura morta.
Quello era l’anno della pittura e la mia natura morta è stata comprata per una cifra importante. Era lo Stato ad acquistare le opere d’arte, perché non esistevano gallerie d’arte private sotto il Comunismo.
Lo Stato, con queste opere, arredava gli unici del paese e la cosa più assurda è stata ritrovare la mia natura morta nella ditta in cui lavorava mio padre, tutto casuale!
E poi a mio papà sono arrivati parecchi soldi, più di uno stipendio, che hanno valorizzato il mio lavoro, considerato che ormai avevo 15 anni. Mi ricordo che mi ha comprato un paio di scarpe nuove ed io ero felicissimo, soprattutto perché mi sentivo utile in casa.
Questo mi ha dato il coraggio per andare avanti, è stata una cosa davvero bella, e oggi siamo qua, domani chissà… questa è la mia storia in poche parole.
Come mai l’Italia e perché Verona?
Fino al 2000 sono stato ad Atene, ero un clandestino, ho attraversato le montagne per giorni e giorni per arrivare a piedi in Grecia.
Ad Atene facevo il restauratore di icone bizantine. Facevo delle icone nuove e dopo, per mille motivi, mi sono stufato perché la Grecia non mi dava quello che volevo, era ed è ancora oggi indietro nel mondo dell’arte in particolare, specialmente se parliamo di arte contemporanea.
Loro preferiscono comprare 100 icone, non acquistano mai un quadro e questa mentalità mi stava stretta, insomma io l’arte l’avevo letta diversamente.
È vero che venivo dal Comunismo, però avevo sentito che esisteva un certo Picasso ed io ero in cerca di quella storia lì. E l’ho trovata in tutti i sensi in Italia. L’Italia era totalmente diversa.
A Verona è arrivata prima mia moglie, io sono arrivato come clandestino. Sono venuto qua e cercavo un lavoro qualsiasi, però ricordiamo che ad Atene io avevo il mio studio, ero un’artista e trovare un altro tipo di lavoro non era facile per me, cambiare e andare a fare il manovale, ma per mille motivi ero costretto a farlo.
Ho fatto tutti i lavori possibili: falegname, operaio montatore di mobili, addetto ai traslochi, insomma ho fatto di tutto per sopravvivere. Poi ho lavorato con un architetto e con lui ho valutato varie opzioni ed ho aperto un mio Studio.
Quando ho aperto, però, nessuno mi conosceva come artista e ho cominciato a fare le tele dei telai per gli artisti per poter guadagnare, pagare l’affitto e mantenere la mia famiglia.
Per vivere non puoi sognare, ti devi rassegnare perché servono i soldi veri. Ma ho iniziato a fare le tele per gli artisti numero uno in Italia, qui non esistevano tele così perfette, tanto che ancora oggi mi chiedono: le fai ancora?
Quali sono le tappe che ti hanno maggiormente segnato come uomo e come Artista?
La forza di volontà e la voglia di arrivare!
Avevo fame ed ero un ragazzo molto determinato. Dopo il percorso che ho appena descritto, ho aperto la mia prima vetrina a Santa Chiara, prima tappa importante della mia carriera, è da lì che è cominciata la storia.
Ma la mia vera storia comincia quando casualmente sei anni fa incontrai Philippe Daverio, li è cambiata la situazione perché ho cominciato a pensare in modo diverso.
Mi ricordo che Daverio quando è entrato nel mio studio e ha visto le opere, non lo dimenticherò mai, mi ha guardato, si è seduto qua vicino a me, mi ha ordinato un Gin Tonic, perché lui adorava il Gin Tonic, e mi ha detto: TU SI QUE VALES, la parola famosa, e mi fa: tu sei totalmente un astrattista, però sei diverso.
L’astrattismo ormai è diventato una cosa molto di usa, però tu hai una marcia in più. Ho fatto la mia prima importante mostra a Villa Verità Poeta nel 2018 a Verona e poi mi ha chiamato a Milano nel suo spazio espositivo ed ho organizzato una mostra anche là.
Avrei dovuto presentare l’opera dell’Arena, avevo una data chiusa con lui, ma un mese prima mi chiama il suo segretario dicendo che Philippe non stava bene, e un mese dopo ci ha lasciati.
Ma non ho voluto raccontare la miseria di quel momento terribile, volevo raccontare la felicità. Ho lasciato il passato alle spalle e sono andato avanti, ho raccontato sempre il bello, nato con un bianco e nero.
Qual è il tuo colore preferito e che usi maggiormente? Il mio preferito?
Nessuno, tutti e nessuno perché io quando vado in studio, non penso esista un colore tuo perché altrimenti diventi schiavo di quel colore lì.
Potrei dire il verde, ma ci sono quadri dove non lo uso nemmeno. Il colore è l’anima ed esce in quel momento preciso. Quando vado in studio e prendo un colore, non significa che quello sia il mio colore preferito, ma è il colore del giorno in quel momento lì e io divento quasi schiavo di quel colore, ma il giorno dopo può cambiare, dipende da come hai dormito, dallo stato d’animo proprio, perché l’astrattismo ragazzi non viene pensato neanche un secondo prima.
Qual è il riconoscimento più importante che hai avuto nella tua carriera fino ad oggi?
Il riconoscimento più bello (e la mia storia più bella) è quando ho avuto la possibilità di dipingere nel posto più go al mondo, l’Arena di Verona. Quell’evento mi ha dato sicurezza in me stesso, quindi mi sono detto: se ho fatto questo posso fare qualsiasi altra cosa.
Chi ti aveva contattato per quel progetto?
Nessuno, ho contattato io tutti. Inizialmente doveva essere in collaborazione con un cantante lirico, ma poi ho cambiato strada e ho trovato il famoso DJ Benny Benassi.
Chi è il tuo artista preferito? Jackson Pollock forse?
No no, per me sono tanti però io in un artista non vedo solo il dipinto, a me piace la storia e per me il primo e l’ultimo finora (e dopo di lui sarò io) è Pablo Picasso, lui è diventato matto, ha rovesciato tutta la storia dell’arte, se non fosse nato un Picasso noi non saremmo nessuno.
Diciamo che devo molto anche alla sua storia, al suo modo di dipingere, alla sua libertà.
Ricordi quando tempo fa ti chiesi se ti ispiri a Jackson Pollock e mi avevi risposto che non lo conoscevi proprio?
Vero, non avevo mai sentito il suo nome e quando un mio amico veronese mi fece vedere una sua opera, risposi: ma questo mi copia! Ah ah ah! No, comunque non l’avevo mai sentito prima.